Carmelo Cappello

Carmelo Cappello. Cosmoplastico. Scultura in bronzo cromato
Cosmoplastico. Scultura in bronzo cromato

Biografia

Carmelo Cappello (Ragusa, 1912 – Milano, 1996) si avvicina all’arte molto presto e compie la sua prima formazione all’Istituto d’Arte di Comiso, dove dà vita ai suoi primi esperimenti di scultura. Dopo il diploma, si trasferisce a Roma per perfezionarsi, lavorando come apprendista per un anno nello studio di Ettore Colla (1896-1968).

Al 1930 risale il suo trasferimento a Milano. Qui, inizia a frequentare i corsi serali di scultura del Castello Sforzesco, per poi passare all’Istituto Superiore d’Arte di Monza, dove segue le lezioni di scultura di Arturo Martini (1889-1947) e di Marino Marini (1901-1980).

È dunque nel segno del primitivismo che nascono le prime sculture di Carmelo Cappello, intorno alla fine degli anni Trenta, quando esordisce nella sua prima personale presso la Galleria Bragaglia di Roma, per poi prendere parte alla Quadriennale di Roma del 1939 e alla Biennale di Venezia del 1940.

In questi anni, stringe amicizia con Gio Ponti (1891-1979) che, nel 1942, presenta una sua personale alla Galleria La Meridiana di Milano. Dopo l’interruzione dovuta alla Seconda guerra mondiale, esce proprio su “Domus”, la rivista fondata da Ponti, la prima monografia dedicata allo scultore ragusano.

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta si susseguono le mostre personali a Milano, Torino e Roma, mentre nel 1948 ottiene un notevole successo alla Biennale di Venezia.

La svolta degli anni Cinquanta

A cominciare dalla metà degli anni Cinquanta, la scultura di Carmelo Cappello acquisisce un risvolto astrattista. Passa infatti dalla figurazione drammatica e primitivista ad una concezione formale fatta di linee sottili e curve che danno vita ad arabeschi eleganti che si espandono nello spazio.

Il successo dello scultore raggiunge, a questo punto, rilevanza internazionale, con le sue mostre a Parigi, Madrid e Monaco e con la sua partecipazione alla Documenta di Kassel del 1959, stesso anno in cui tiene una personale alla Galleria Schneider a Roma, con la presentazione di Pierre Restany.

Se fino a questo momento i materiali prediletti da Carmelo Cappello sono il bronzo e l’alluminio, a partire dagli anni Sessanta, inizia ad usare l’acciaio, medium che gli permette di creare evoluzioni dinamiche e circolari, che presenta alla Mostra internazionale di sculture in metallo alla galleria d’Arte Moderna di Torino del 1964.

L’anno successivo, è nominato Accademico di San Luca e continua a partecipare a numerose rassegne internazionali, tra cui la mostra Five from Milan a Philadelphia, nel 1967 o alla Mostra Internazionale di Scultura al Museo Rodin di Parigi, nel 1971.

Al 1973 risale la sua prima antologica, realizzata dal Comune di Milano alla Rotonda di via Besana, mostra poi riproposta dal Comune di Messina. Il suo linguaggio si fa sempre più minimale, tagliente e raffinato, attraverso frammenti di acciaio, che con le sue forme astratte, comunica sapientemente con lo spazio. Enrico Crispolti pubblica una monografia su Carmelo Cappello, presentata in occasione della Mostra alla Galleria Bonaparte di Milano del 1980.

Tra gli anni Ottanta e Novanta, le sue sculture di acciaio cominciano a popolare gli spazi pubblici, a cominciare da Gibellina, Milano, Ragusa. Nel 1995, un anno prima della sua morte, si inaugura a Ragusa la Civica Raccolta Cappello, proveniente da una donazione dell’artista stesso.

Contestualmente nasce l’Archivio Cappello, che dà vita alla catalogazione di tutte le opere, grazie alla collaborazione con la galleria milanese Spaziotemporaneo, che ha ospitato diverse mostre di Carmelo Cappello, che muore a Milano nel 1996, ad ottantaquattro anni.

Carmelo Cappello: dalla figurazione primitivista ad un astrattismo elegante e lineare

L’esordio di Carmelo Cappello alla Galleria Bragaglia consiste nella presentazione di alcune delle sue primissime espressioni scultoree, tra cui Il freddoloso. È ancora presente, in questa fase, l’influenza del primitivismo di Martini e Marini, suoi maestri a Monza, ma anche la reminiscenza dell’Espressionismo della Scuola Romana.

La ruvidità delle superfici, la drammaticità espressiva di figure solenni e senza tempo si riscontra anche nel Pescatore in bronzo presentato alla Quadriennale di Roma del 1939 e nell’opera Contemplazione esposta alla Biennale di Venezia del 1940.

Il timbro martiniano è riscontrabile nei volti di queste figure arcaiche, fissate in posizioni che le rendono sospese e magiche, così come avviene con la Susanna del 1940, con Lo sgambetto del 1941 e con La bagnante esposta alla Quadriennale romana del 1943.

Fino gli anni Cinquanta, Carmelo Cappello continua a seguire questa linea primitivista, in cui i corpi appaiono sempre più lacerati: le superfici bronzee rimangono aspre, scabre e i volti sofferenti, così come si nota nel Ratto delle Sabine o nel Folle del 1948. Piano piano, la condizione arcaizzante delle forme si fa sempre più espressionista e i corpi delle donne rappresentate diventano ampi e deformi, come quelli delle statuette votive simbolo di fertilità.

Ma all’inizio degli anni Cinquanta, il linguaggio di Carmelo Cappello cambia radicalmente: prima le forme si fanno più organiche e levigate, come quelle di Henry Moore (1898-1986), fino a raggiungere una “liquidità” astratta che le fa allungare tanto da divenire semplici linee che si espandono nello spazio, assumendo forme circolari o arabescate.

Sono esempio di questo nuovo approdo Il prigioniero politico ignoto del 1952, Gli acrobati del 1953 e L’uomo nello spazio del 1954. Fili dinamici e armoniosi si librano nell’aria perdendo piano piano ogni riferimento al reale, come si nota nel Capriccio lunare del 1958, che apre la strada alle opere in bronzo lucidato e in acciaio degli anni Sessanta, sempre più vitali e astratte, progressione di linee e volumi nello spazio, come Curve assiali.

È poi la volta della serie Ritmi chiusi, dalle forme circolari, perfettamente armoniche che si esprimono ad esempio nella scultura Superficie-spazio: itinerario circolare del 1965 o nella Spirale progressiva dei primi anni Settanta. Negli anni Ottanta e Novanta, le forme si fanno sempre più longilinee e sottili, piccoli segni di materia che compaiono nello spazio, delicati e fragili.

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