Vincenzo Migliaro

Vincenzo Migliaro. Luciana (dettaglio). Tecnica: Olio su tela
Luciana (dettaglio). Tecnica: Olio su tela

Biografia

Vincenzo Migliaro (Napoli, 1858 – 1939) sin da piccolo, inizia a frequentare una scuola per intagliatori, divenendo poi versato soprattutto nella creazione di cammei. Volendo continuare sulla strada della scultura, adolescente, si reca nello studio di Stanislao Lista (1824-1908). Soltanto in un secondo momento, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Napoli, per seguire le lezioni di Federico Maldarelli (1826-1893).

Il viaggio a Parigi

Notato per le sue doti pittoriche, inizia a frequentare la scuola di pittura di Domenico Morelli (1823-1901), ottenendo subito importanti risultati alle mostre accademiche. Nel 1877, Vincenzo Migliaro arriva secondo al Concorso Nazionale di tutte le Accademie di Belle Arti. Il compenso in denaro gli permette di compiere il suo primo viaggio a Parigi.

Nella città francese rimane colpito dalla brulicante vita delle strade, dalla bellezza del Louvre e soprattutto dai dipinti di Giuseppe De Nittis (1846-1884) e di Giovanni Boldini (1842-1931). Il mercante Adolphe Goupil, notata l’abilità di Vincenzo Migliaro, gli offre un contratto, ma il pittore declina l’offerta perché contrario a qualsiasi sottomissione al gusto alla moda e al fortunismo imperante.

Il rientro a Napoli e la pittura naturalista

Intenzionato a non cedere alla pittura di moda, torna a Napoli, sempre più attratto dalla pittura antica. Lo colpiscono il cromatismo di Tiziano e il realismo di Caravaggio e di tutti i suoi seguaci partenopei. Frequenta con costanza il Museo di Capodimonte per osservare da vicino questi autori, a lui carissimi.

Il naturalismo diviene la sua cifra caratteristica, soprattutto nella realizzazione di scene che ritraggono la vita napoletana in tutte le sue sfaccettature più intense e reali. Attraverso una tecnica impeccabile, fata di chiaroscuro e osservazione del vero, esordisce all’Esposizione di Torino del 1877, proprio con due scene urbane napoletane.

Il successo è immediato: viene chiamato ad esporre in tutto il mondo, da Londra a Berlino a Palermo a Parigi a Santiago del Cile. Per tutti gli anni Ottanta e Novanta, compare alle esposizioni italiane con le sue realistiche tranche de vie napoletane, e poi per tutto il Novecento, partecipa alle Biennali di Venezia, sempre accolto positivamente dalla critica.

Il morbo di Parkinson e gli ultimi anni

La sua Napoli, vibrante, brulicante, quella dei vicoli e quella delle piazze maestose è sempre presente nei suoi dipinti, osservata nella sua realtà, senza celebrazioni, ma con costante partecipazione emotiva. Quasi come un reporter e attraverso una pittura vera e plastica, narra le vicende piccole e grandi della sua città.

Nel 1885 viene incaricato di immortalare con la pittura i luoghi di Napoli che sarebbero stati abbattuti per progetti di risanamento urbano. Ne nascono delle interpretazioni emozionanti e vive, tutte conservate al Museo di San Martino.

Il successo di Vincenzo Migliaro raggiunge il suo culmine negli anni Dieci, per poi diminuire piano piano, anche a causa della sua malattia, il morbo di Parkinson. Ciononostante, il pittore continua a svolgere la sua attività e ad esporre fino agli anni Trenta, anche quando, quasi cieco, dipinge soggetti sempre più simili tra loro.

Ormai povero e stanco, muore a Napoli nel 1939. L’anno successivo, la Biennale di Venezia gli dedica una retrospettiva, per celebrare la sua sapienza nel ritrarre la palpitante bellezza partenopea.

Vincenzo Migliaro: la fedeltà al realismo e la quotidianità napoletana

Vincenzo Migliaro esordisce all’Esposizione di Torino del 1877 con Il pulpito della Chiesa di San Sebastiano in Napoli e La via di San Gaetano in Napoli. Da questi due titoli già si nota la volontà dell’autore di porre attenzione al paesaggio e alla vita urbana di Napoli, sua cifra caratteristica.

Nel 1880, sempre a Torino espone Tipo napoletano, dipinto che lo rende noto agli occhi della critica, per l’acuta osservazione della realtà della sua città. Nel cromatismo sincero e nella resa chiaroscurale, non può far altro che trarre ispirazione dai maestri del Cinquecento e del Seicento, lontano dalle mode contemporanee. 
Ave Maria e Festina fanno la loro comparsa all’Esposizione Nazionale di Roma del 1883, mentre a Napoli, nel 1884 presenta Palazzo Donn’Anna e Un Gallo.

Salvatore Di Giacomo, carissimo amico di Vincenzo Migliaro, scrive di lui, in occasione della collettiva alla Galleria Pesaro, del 1929, con Vincenzo Caprile (1856-1936) e Vincenzo Gemito (1852-1929): «La penetrazione delle cose, la conoscenza della loro anima muta, il desiderio che esse pur s’esprimano, e tocchino, e palpitino perfino d’un mistero o d’una tragicità penetranti, riassumono le caratteristiche intime e formali – le principali – di questo appassionato osservatore della sua Napoli…».

Queste parole colgono in pieno l’essenza della pittura verista di Vincenzo Migliaro, la sua sensibilità nell’interpretare la quotidianità. Delle opere dedicate ai posti di Napoli che sarebbero stati oggetto di un risanamento, fanno parte Vico grotte, Santa Lucia, Strada Pendino, Piazza francese, e Vico cannucce.

Quest’ultima opera viene presentata alla Biennale del 1901, insieme a Napoli Vecchia, mentre alla Biennale del 1905 presenta La fortuna, Una notte in una via di Napoli e Un vecchio mercato di Napoli.

Una ricca attività espositiva

Partecipa alla Mostra milanese per il Traforo del Sempione del 1906 con Voluttuosa, Via san Gregorio Armeno, Seduzioni, Taverna napoletana e Una piazza di Napoli di notte. La realtà vera e graffiante della città emerge con passione e personalità dal pennello veloce del pittore anche nelle opere Porta Capuana e Napoletana, inviate alla Biennale del 1907.

A quella del 1910 invia Concerto a luna piena, Presso il porto e Da Anacapri. Questo dipinto dimostra come negli anni Dieci, nonostante la malattia, il pittore si reca nelle isole del Golfo di Napoli, realizzando paesaggi intensi e luminosi.

Le scene di vita dei vicoli e delle piazze napoletane compaiono alle esposizioni fino agli anni Trenta, nonostante la salute del pittore peggiori anno dopo anno. Alla Biennale del 1920 presenta Mezza figura ed Arco di Sant’Eligio, a quella del 1926 Piazza di mercato e Popolana, a quella del 1930 Civetteria e Luciana.

Al sole compare alla Quadriennale romana del 1935, mentre nello stesso anno tiene la sua ultima personale alla Sindacale napoletana, con più di cinquanta opere che riassumono la sua carriera. Tra di esse vi sono Piazza Francese, Suonatori sotto la neve, Santa Chiara, San Biagio dei Librai, Primavera napoletana, Popolana che si pettina, Porta di San Gregorio Armeno e Gare di pescatori.

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