Filippo Palizzi

Filippo Palizzi. Il piccolo capraio, 1852. Olio su tela, 37 x 52 cm
Il piccolo capraio, 1852. Tecnica: Olio su tela

Quotazioni Filippo Palizzi

I dipinti ad olio su tela hanno stime che vanno tra i 10.000 e i 20.000 euro di media, gli acquerelli tra i 1.000 e i 2.000 euro circa. Il mercato di questo artista è in flessione e solamente i capolavori possono superare i 30.000 euro. L’area di interesse è meridionale ma a causa della grande notorietà si raccomanda molta attenzione perchè esistono numerose opere non autografe realizzate da seguaci o imitatori. 
Fattori quali il periodo, la dimensione, la qualità, lo stile, la tecnica, ecc… possono influenzare la stima corretta di un’opera d’arte. I valori sopra riportati sono solo un’indicazione di massima. Contattate i nostri consulenti che saranno ben lieti di offrire una valutazione aggiornata e gratuita.

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Biografia

Filippo Palizzi (Vasto, 1818 – Napoli, 1899) dopo aver appreso il disegno e cominciato a comporre i primi paesaggi con figure, raggiunge il fratello Giuseppe a Napoli nel 1837. Dopo una prima fase presso il Reale Istituto di Belle Arti dove entra in contratto con Gabriele Smargiassi (1798-1882), decide di abbandonare l’Accademia. Si iscrive alla Scuola libera di Giuseppe Bonolis (1800-1851), avviandosi naturalmente verso lo studio del vero.

I viaggi formativi

Intraprende il primo viaggio formativo in Basilicata per studiarne le usanze, la vita e i costumi. Nel 1842 decide di seguire il principe Maronsi in Moldavia e da lì fare un viaggio ad Istanbul e La Valletta.

Questa avventura è molto importante per Filippo Palizzi, perché tiene diversi taccuini su cui documenta le impressioni di viaggio. Non mancano ritratti dei membri della nobiltà di cui è al seguito.
Nel 1844 torna in Italia. Il fratello Giuseppe sta per partire per Parigi: da questo momento in poi intraprendono un fitto rapporto epistolare.

Le frequenti lettere permetteranno ad  entrambi di sviluppare il proprio stile tramite lo scambio di esperienze e delle novità apprese. Il ritorno di Giuseppe nel 1854 consente a Filippo di ascoltare dal vivo i progressi della pittura francese ed in particolare della Scuola di Barbizon.
Per questo decide egli stesso di intraprendere un viaggio a Parigi nel 1855 e con l’occasione visitare l’Esposizione.

Gli anni Sessanta e settanta

Nel 1848 Filippo Palizzi, come altri pittori della sua generazione, aveva appoggiato a i moti rivoluzionari e tutti gli eventi che hanno poi portato all’Unità d’Italia. L’attività di protesta e di rinnovamento non viene svolta da Filippo solamente in ambito politico, ma anche dal punto di vista artistico.

Nel 1861 decide di non partecipare alla mostra di Firenze, ma di esporre in un ambiente non ufficiale, lo studio di Saverio Altamura (1822-1897).
Nello stesso anno è tra i fondatori della Società di Promotrice di Belle Arti di Napoli. Apre il suo studio ai giovani artisti che hanno intenzione di avvicinarsi ad un’approccio alla pittura meno accademico.

Negli anni Sessanta Filippo Palizzi diventa presidente della commissione della Promotrice di Napoli, di cui firma il primo statuto. Lavora a fianco dell’istituzione per molti anni. Nel 1892 fa parte del giurì artistico e la Promotrice, sotto la guida di Domenico Morelli (1826-1901) comincia ad entrare in crisi.

Nel frattempo compie diversi viaggi in Francia, nel 1859, nel 1867, nel 1878 e nel 1888, in occasione della morte del fratello. Queste incursioni d’oltralpe permettono all’artista di approfondire maggiormente la sua ricerca luministica e cromatica sempre basata sullo studio dal vero.

Nel 1878 Filippo Palizzi contribuisce alla creazione del Museo Artistico Industriale di cui diventa direttore nel 1880. Questa carica lo impegna principalmente nella formulazione di programmi innovativi che si basano su una pittura moderna e verista.
Nei suoi programmi compare anche la decorazione della ceramica di cui era un abile conoscitore sin dai tempi della formazione a Vasto.

L’eredità artistica

I dipinti, gli schizzi, le incisioni e il resto della sua importante produzione sono divisi tra collezioni private e pubbliche sia italiane che straniere. Nel 1892 già anziano, Filippo Palizzi stesso dona trecento studi alla Galleria Nazionale di Roma.
In questa occasione mette a punto anche il loro allestimento sulle pareti. Ne abbiamo testimonianza da un disegno conservato a Napoli nelle Gallerie dell’Accademia.

A quest’ultima, dona un’altra serie di opere, come anche al Museo civico di Vasto, la sua città natale. L’eredità artistica di Filippo è un lascito speciale per gli artisti che hanno appreso da loro la trattazione del realismo ai suoi inizi.
Un realismo ricco di particolari minuziosi e calligrafici, nella semplicità della descrizione agreste e pastorale del centro e del sud. Muore a Napoli nel 1899.

Filippo Palizzi: dagli esordi  all’approccio al vero

Dalla formazione ai primi concorsi

Dopo la breve esperienza pittorica in Abruzzo, trasferitosi a Napoli e iscrittosi alla Scuola libera di Bonolis, Filippo Palizzi inizia subito a rapportarsi con gli studi dal vero.

C’è da dire però che aveva frequentato per breve tempo anche il Reale Istituto di Belle Arti e quindi nei primi tempi ancora risulta incerto il suo indirizzo. È sicuramente votato al vero, ma permangono ancora elementi classici acquisiti in Accademia.

Nonostante questo, comincia a specializzarsi come il fratello nella realizzazione dal vero di animali, posizionandosi tra i primi posti a diversi concorsi. Nel 1839 alla Biennale Borbonica presenta Studi di animali grazie a cui vince la medaglia d’argento e comincia a farsi conoscere tra i collezionisti, infatti il dipinto viene comprato dalla duchessa di Berry.

Cosciente dei suoi piccoli iniziali successi, Filippo Palizzi si rende conto di dover approfondire la strada della realtà, quindi comincia a specializzarsi in una pittura dal carattere sincero e popolare.
Ritrae i momenti salienti della quotidianità rurale, tra animali, pastori e contadini come rivelano Pastore che beve, Due pastori o Il mese di maggio, acquistato dal re.

Si ritrova ancora in queste prime produzioni la chiara presenza dello stile di Léopold Robert (1794-1835), pittore svizzero che coniugava ambientazioni e narrazioni della pittura di genere rurale o marinara con l’impiego di alcuni stilemi neoclassici.

Basilicata, Oriente, Cava dei Tirreni

Dopo questa prima fase basata sul vero, Filippo Palizzi decide di approfondire l’approccio con la realtà recandosi in Basilicata per osservare e studiare i costumi tradizionali del popolo. In seguito si reca nell’est Europa e tutte le estati, alla fine degli anni Quaranta, a Cava dei Tirreni.

Qui si esercita costantemente negli studi dal vero delle campagne circostanti, affinando sempre di più il suo stile semplice ma preciso e minuzioso.

Nel frattempo partecipa al clima rivoluzionario dei moti del ’48 realizzando Ritratto di Garibaldi a Cavallo o La carica di cavalleria al comando del colonnello Strada a Villafranca, dipinti di celebrazione e guerra in cui però si riconosce sempre un attento studio del paesaggio e dei cavalli.

Filippo Palizzi: il verismo

Il fratello Giuseppe e la Scuola di Barbizon

Quando negli anni ’40 Giuseppe Palizzi parte per la Francia, non mancherà mai di trasmettere al fratello, per via epistolare, le novità apprese soprattutto dagli esponenti della Scuola di Barbizon.

I cambiamenti appresi si notano subito nella sua pittura sotto forma di evidenti ricerche nel campo della modulazione della luce e del colore, nella totale aderenza alla realtà.

Pur continuando sulla strada della narrazione analitica del mondo animale o agreste, la penetrazione della luce dalle fronde e la sua diffusione sulle figure e sugli animali diventa fondamentale.

Dipinti chiave della poetica palizziana sono Lavandaie di Sarno, l’Incontro delle due mandrie o ancora Dopo il diluvio. In quest’ultimo la tematica biblica voluta dal re Vittorio Emanuele si combina con il minuzioso realismo della trattazione degli animali, frutto di anni di studi.
Quello che Filippo Palizzi ci mostra è la pura e semplice realtà della natura.

Con il tempo, gli studi sul vero di Palizzi si affinano sempre di più, facendo sì che la sua pittura sia, insieme a quella del fratello, capostipite del realismo non solo meridionale, ma anche toscano.

Non è un caso che lo studio di Chiaia dell’artista sia assiduamente frequentato da Domenico Morelli (1826-1901), Bernardo Celentano (1835-1863), Saverio Altamura (1822-1897) che in seguito tradurrà le istanze veriste napoletane a Firenze.

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