Valmore Gemignani

Valmore Gemignani. Donna col sacco sulle spalle. Scultura in bronzo
Donna col sacco sulle spalle. Scultura in bronzo

Biografia

Valmore Gemignani (Carrara, 1878 – Firenze, 1958), figlio di un marmista di Carrara, si avvicina alla scultura sin da bambino. Molto giovane, si trasferisce a Firenze per frequentarne l’Accademia di Belle Arti, dove ha come insegnanti gli scultori Antonio Bortone (1844-1938) e Augusto Rivalta (1837-1925) e il pittore Giovanni Fattori (1825-1908).

L’esordio come scultore avviene alla Promotrice di Firenze del 1898, ma il vero successo giunge nel corso del primo decennio del Novecento, momento in cui Valmore Gemignani studia approfonditamente la scultura del Quattrocento fiorentino, avvicinandosi a Donatello, Jacopo Della Quercia e Andrea del Verrocchio.

Le sue figure, ferme e solenni, caratterizzate da un segno sicuro e asciutto, riflettono a pieno la reinterpretazione del linguaggio della tradizione plastica italiana, unita, almeno per i primi dieci anni di attività, ad un sapiente verismo nella scelta dei temi e anche nella resa della realtà quotidiana vista nelle situazioni più umili e popolari.

A Firenze, comunque, si avvicina all’ambiente della pittura e della scultura e della critica d’avanguardia, legandosi soprattutto a Giovanni Papini, Ardengo Soffici (1879-1964), Llewelyn Lloyd (1879-1949), Moses Levy (1885-1968) e Amedeo Modigliani (1884-1920).

Il successo e i soggiorni all’estero

Dopo aver partecipato, nel 1901, alla sua prima Biennale di Venezia, cui ritornerà per diverse edizioni, Valmore Gemignani ottiene un successo di portata internazionale, che lo spinge ad aggiornarsi stilisticamente compiendo un viaggio in Europa.

A partire dal 1906, lo scultore carrarese parte per il Belgio, per poi passare in Olanda ed infine in Germania. Rimane a Berlino per più di dieci anni, lavorando come ceramista al posto di Filippo Cifariello (1864-1936) nella fabbrica di ceramiche Rosenthal e avvicinandosi allo stile delle Secessioni.

Rientrato a Firenze allo scoppio della Prima guerra mondiale, lo scultore intensifica ancor di più la trattazione solenne e secca delle figure, discostandosi gradualmente dai soggetti tratti dalla quotidianità di ispirazione ancora ottocentesca, per inoltrarsi in ritorno all’ordine influenzato sicuramente dalle istanze di Novecento.

Il primo dopoguerra e gli anni della maturità

Le opere degli anni Venti e Trenta riflettono a pieno questo gusto plastico profondamente toscano, equilibrato, silenzioso, limpido. Partecipa regolarmente alle principali rassegne italiane fino agli anni Quaranta: oltre che alle Biennali di Venezia, prende parte alle Quadriennali romane e alle Mostre sindacali.

Ma molto cospicua è anche la sua produzione monumentale, come dimostrano le diverse opere realizzate tra gli anni Venti e Trenta per numerose chiese e cimiteri, in cui spicca sempre la propensione verso masse e volumi pieni e una linea ordinata e sicura.

Dopo la seconda guerra mondiale, Valmore Gemignani si dedica soprattutto alla produzione di ceramiche e maioliche per la nuova manifattura fiorentina della lastra. Muore a Firenze nel 1958, all’età di ottant’anni.

Valmore Gemignani: il ritorno alla scultura del Quattrocento toscano

L’esordio di Valmore Gemignani avviene alla promotrice fiorentina del 1898, dove presenta un Ritratto in gesso, in cui già si nota la spiccata cura delle masse e l’equilibrio compositivo ereditato dai grandi maestri del Quattrocento e del Rinascimento.

L’anno successivo, sempre a Firenze, espone Romano e Cenerentola, mentre alla sua prima Biennale di Venezia del 1901 si presenta con il Ritratto di Vinzio in gesso che suscita un diffuso apprezzamento da parte della critica italiana ed estera.

Lo sterratore compare alla Biennale veneziana del 1903, mostrando una forte attenzione verso il mondo del lavoro, che tornerà ancora nella sua produzione e che adotta uno stile che ancora offre uno sguardo al verismo di fine ottocento.

Nello stesso anno, esegue il Ritratto di Giovanni Fattori in bronzo, che coglie in pieno lo spirito del suo maestro in età ormai avanzata.

Durante il suo periodo berlinese, Valmore Gemignani continua a partecipare alle mostre italiane. Nel 1911, prende parte all’Esposizione Internazionale di Roma con Giovanni Leoni, nel 1912 alla Biennale con Tigre.

Dopo la guerra, riprende ad esporre alla Fiorentina primaverile del 1922. Musica, Putto bacchico e alcune opere in ceramica mostrano già una solennità scarna e allo stesso armoniosa che inserisce Valmore Gemignani in un ritorno all’ordine tutto impostato sullo studio dei maestri toscani.

Lo stesso si nota nelle Armonie selvatiche, opera esposta alla Biennale del 1922, e soprattutto nelle sculture inviate alla mostra del Gruppo Labronico alla Galleria Pesaro del 1928: Portatrice, Armonia silvestre, Piccolo zampognaro, Bagnante, La toscana ed alcuni dipinti di matrice verista ispirati naturalmente al linguaggio di Fattori.

Equilibrio compositivo e fantasia nella scelta dei soggetti caratterizzano tutti gli anni Trenta, decennio in cui lo scultore si occupa anche di opere pubbliche, come il Monumento a Jacopone da Todi, o i bassorilievi realizzati per alcuni palazzi di Livorno.

Nel 1931 partecipa alla Quadriennale di Roma con Lo zampillo in gesso, vi ritorna nel 1935 con un Motivo decorativo in bronzo, che riflette la piena adesione ai modi classici, poi nel 1939 con la solenne e delicata Giovinetta che stira in pietra e nel 1943 con i tre bronzi Cavallo, La Madre e Testa di mia madre.

Agli stessi anni risalgono alcune fondamentali opere esposte alle Sindacali toscane, tra cui Dormiente, Massaia rurale, Ritratto di mia figlia Graziella e Faunessa.

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